A volte penso che siamo proprio filoamericani a oltranza. Questa settimana tutti con la storia di Halloween, una festa che in realtà non ci appartiene, non fa parte delle nostre tradizioni e che è usata come occasione commerciale per fini consumistici: la notte delle streghe.
Mi chiedo se ci sia veramente bisogno di una scusa per vestirci da streghe, nel fondo lo siamo già tutto l’anno. Alcune in maggior misura di altre.
Se proprio devo cercare un’affinità in questa data, mi sento molto più vicina a Linus aspettando il Grande Cocomero che alle streghe e alla morte.
In realtà la celebrazione di Halloween risale a tempi remoti, in uso nell’arcipelago britannico e viene associata al nome della festività celta Samhain mantenuta dai Gaeli e dai Celti, che deriva dall’irlandese antico e che può essere tradotta come «fine dell’estate».
Secondo il calendario celtico in uso 2000 anni fa tra i popoli dell’Inghilterra e dell’Irlanda e la Francia settentrionale, l’anno nuovo iniziava il 1º novembre.
Secondo l’Oxford Dictionary of English folklore: «Certamente Samhain era un tempo per raduni festivi e nei testi medievali irlandesi e quelli più tardi del folclore irlandese, gallese e scozzese, gli incontri soprannaturali avvengono in questo giorno, anche se non c’è evidenza che fosse connesso con la morte in epoca precristiana, o che si tenessero cerimonie religiose pagane.» L’associazione centrale col tema della morte sembra affermarsi in un periodo successivo, e appare evidente nella più recente evoluzione anglosassone della festa con le sue maschere macabre.
Nell’840 Papa Gregorio IV istituisce come precetto (anche se esisteva già prima), la festa religiosa di Ognissanti, forse in un tentativo di dare continuità alle tradizioni dei vari paesi; festa quindi celebrata anche in Inghilterra anche se con il protestantesimo è interrotta come tradizione religiosa e si continua a celebrare Halloween come festa laica; in particolare negli USA, dalla metà dell’Ottocento in poi, tale festa si diffonde (specialmente a causa della forte immigrazione irlandese) fino a diventare, nel secolo scorso, una delle principali festività statunitensi.
Anche in Italia ci sono celebrazioni similari. Una tradizione vuole che per la commemorazione dei defunti, i primi cristiani vagabondassero per i villaggi chiedendo un dolce chiamato “pane d’anima”, più dolci ricevevano e maggiori erano le preghiere rivolte ai defunti del donatore.
Varie località in Italia celebrano in modo molto particolare la notte dei defunti, soprattutto in Puglia e in Sardegna, ma è evidente che sono tradizioni assolutamente dissimili da quelle americane. E uno degli effetti collaterali della globalizzazione è proprio di stravolgere il vero significato di una festa segnalata per farne un uso goliardico.
In questi giorni ricorderemo i nostri cari che ci hanno già lasciati, non c’è bisogno di mascherarci da diavoli e streghe per spaventare la morte. Quella non si spaventa affatto, sorride beffarda e ci aspetta al varco, ineludibilmente tutti.
Io continuo a preferire la tradizione del Grande Cocomero, non che pensi di passare la notte in un campo di zucche, ma sorrido all’idea di associare il cocomero all’espressione “mettere un po’ di sale in zucca”.
Ci sarebbe da elargire zucche salate a molte streghe (e stregoni) di Halloween, così, giusto per equiparare le dosi di stupidità che ci sorbiamo il resto dell’anno. Io farei una lista di destinatari cui inviare zucche salate in una sorta di scongiuro contro le cattiverie, nefandezze, meschinità, e alte dosi di autocelebrazioni che ci troviamo a subire durante tutto l’anno senza possibilità di eluderle, proprio come la morte.
Una sorta di esorcismo contro gli idioti, gli egoisti, gli invidiosi, contro quelli che per salvare la propria poltrona giocano con le vite degli altri, o quelli che per soddisfare il proprio immenso e infinito ego, calpestano tutto quello che intralcia il loro cammino. Insomma, c’è zucca salata per tutti.
Speriamo solo che il Grande Cocomero scelga questo campo (l’Italia) per farsi vedere!
🙂 Silvia.