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L’importanza di chiamarsi Silvia

Anche se pensavate al caro Oscar Wilde, o a Ernesto (1952), o Ernest (remake del 2002), diciamoci la verità: se il mio (?) Rupert si fosse chiamato Silvio, quella pellicola, sarebbe stata magari un record d’incassi . E anche un inno al cattivo gusto (per il personaggio evocato).

Ah, ma al femminile, al femminile tutto cambia.
Tanto per cominciare Silvia è un nome che in apparenza inganna, foneticamente sembra corto ma si compone di sei lettere, quindi così corto non è. Il bello è che non si può accorciare, né in bene né in male. Con poche eccezioni, non mi piacciono i nomi di donna molto lunghi, perché poi da lì nascono i “nomi d’arte”, di persone che normalmente non ne possiedono nessuna. Dovrò ringraziare per sempre quel pover’uomo di Leopardi che tanto inspirò i miei progenitori, una delle rare occasioni in cui si trovarono d’accordo fin da subito: la scelta del nome.

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Altro aspetto positivo: lo puoi francesizzare, al limite mettergli una “Y” invece della “I” latina, ma sostanzialmente rimane quasi immutato sia ortograficamente sia foneticamente, in 16 lingue, ad eccezione del euskera (basco) in cui Silvia si traduce in Ohiana. Ho sempre pensato che i baschi siano gente strana!

Sono una linguista e per queste cose ho una vera fissazione, osservo molto attentamente le lettere iniziali di ogni nome e la S è una consonante con un potere incredibile. Innanzitutto, – e non è poco -, è l’iniziale del sì, il monosillabo più potente e positivo del mondo, e poi è una lettera furbetta, perché se la metti davanti a molti verbi e molti sostantivi, ma anche avverbi e aggettivi, è capace di ribaltare tutto il significato originale della parola stessa. Sai che potere?

Per intenderci: è meglio caricare o scaricare? Svenire o venire? Sigue leyendo